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Sarebbe bello se dall’ospedale partisse il messaggio: fratelli e sorelle, c’è spazio anche per voi

Intervista a Katia Santoro, presidente Associazione Famiglie LGS Italia

Come madre ho capito subito che c’era bisogno di occuparsi anche dell’altra figlia, anche se il tempo disponibile risulta sempre ridotto rispetto a quello dedicato a chi è malato. Come associazione, invece, abbiamo compreso che c’era un problema perché, quando si trattava di organizzare una riunione, sempre più genitori non davano la disponibilità a partecipare per non sottrarre ulteriore tempo ai fratelli e le sorelle dei figli malati. Quando questo tipo di risposta è diventata frequente, abbiamo capito questo problema andava affrontato come associazione.

Tra i soci fondatori della nostra associazione c’è anche un fratello, la cui storia mi ha molto colpito. I suoi genitori avevano girato il mondo per cercare una cura per il figlio malato e lui, che aveva oltre 40 anni, partecipava alle iniziative associative con molto fervore. Era sempre disponibile, non si tirava mai indietro. Ma di lui sapevo poco, perché al centro c’era sempre il fratello. Ho avuto modo di conoscerlo meglio quando, per via di un’iniziativa organizzata nel paese dove viveva la sua famiglia, mi sono trovata a pranzo a casa sua. In quell’occasione ho compreso che, nonostante fosse padre e marito, la sua vita girava ancora intorno alla famiglia d’origine, composta dai genitori e il fratello malato. Fino a quel momento non mi aveva mai parlato di sé. Ha cominciato a farlo solo in quell’occasione, grazie al tempo trascorso insieme. Successivamente, ha raccontato cosa significa essere fratello di una persona con LGS in una lettera, che poi abbiamo pubblicato sul sito dell’associazione. È stato l’inizio di un percorso personale che lo ha portato a comprendere quanto la propria condizione di sibling avesse condizionato la sua vita. Così abbiamo capito quanto fosse importante dare spazio ai fratelli e sorelle. Questi, in genere, sono molto autonomi, crescono in fretta e bruciano le tappe. Se la cavano da soli, anche se avrebbero bisogno di un supporto, perché può essere frustrante essere sempre principalmente il fratello o la sorella di qualcuno. Spesso, però, i problemi più grandi si presentano quando i sibling diventano adulti, anche perché toccherà a loro prendere le decisioni che riguardano i propri fratelli e sorelle. Noi genitori abbiamo la fortuna di aver vissuto una vita precedente, senza la malattia, ma i sibling no, per loro la malattia è presente da sempre. Sentono di avere una responsabilità che non hanno scelto di avere. Molto, dunque, dipende da noi genitori. Se saremo bravi, i sibling si sentiranno liberi di fare le proprie scelte e forse riusciranno a prendersi cura dei fratelli e sorelle, mantenendo la giusta distanza. Altrimenti o scapperanno o si sentiranno condannati a vivere una vita che non vorrebbero vivere.

Abbiamo realizzato un progetto fotografico, poi interrotto durante la pandemia, ma che contiamo di riprendere al più presto. Abbiamo optato per il racconto della vita dei sibling attraverso la fotografia, perché difficilmente i nostri ragazzi e ragazze accetterebbero un percorso di supporto psicologico.

Oltre a sentirsi sopraffatti dal carico di lavoro penserebbero di essere studiati, osservati, indagati. Ai loro occhi un percorso di questo tipo potrebbe apparire come un ennesimo modo per leggere la propria vita in funzione di quella dei propri fratelli e sorelle: è come se quel supporto psicologico non fosse pensato per aiutare loro a raggiungere una maggiore autonomia e libertà, ma per oleare meglio i meccanismi familiari in funzione delle esigenze dei fratelli e sorelle malati. Per questo abbiamo pensato di offrire loro la possibilità di esprimere le proprie emozioni attraverso un progetto fotografico piuttosto che attraverso il racconto. La narrazione a volte è un po’ come il nostro diario segreto: è solo nostro e non abbiamo nessuna intenzione di condividerlo. Il progetto fotografico, denominato “Anomalie”, è stato portato avanti dl fotografo Francesco Basco, a cui abbiamo chiesto di fare foto artistiche, evocative, che sono state scattate in giro per l’Italia. Dopo aver visto quelle immagini, i sibling hanno capito che non stavamo cercando né di indagarli né di costringerli a venire allo scoperto, ma che lasciavamo loro la possibilità di esprimersi liberamente.

Quest’anno, poi, abbiamo ripreso l’argomento dei sibling a conclusione di un convegno dedicato al mondo LGS che si è svolto lo scorso maggio a Roma presso il Museo Etrusco di Villa Giulia, in occasione della Notte dei Musei. La sera abbiamo portato in scena uno spettacolo teatrale chiamato appunto “Sibling”, con diversi monologhi ispirati a storie vere e le fotografie di Marco Castiglione. È stata una performance molto toccante. Al convegno, invece, abbiamo invitato uno psichiatra e alcuni sociologi, per discutere di come la malattia impatta anche dal punto di vista sociale. Vorremmo che i decisori politici capissero che è necessario cambiare il modello sociale, perché intorno a patologie invalidanti come la Sindrome Lennox Gastaut non c’è solo il bisogno del singolo individuo, ma quello di un gruppo più allargato. A differenza dei genitori, un fratello non ha neppure il diritto ai benefici della Legge 104, eppure ha un vissuto altrettanto stressante. Inoltre, non può neppure contare sulla comprensione del gruppo dei pari, perché essi non conoscono i suoi problemi. È veramente solo.

Quando avremo completato il nostro progetto fotografico vorremmo allestire delle mostre dedicate ai sibling e portarle in giro per l’Italia, in sinergia con altri enti e associazioni. La mostra potrebbe aiutare le persone che hanno a che fare con la disabilità e gli operatori sanitari a comprendere meglio la realtà dei sibling e le loro difficoltà. Per esempio, sarebbe importante sensibilizzare gli ospedali. Perché, quando tuo fratello ha una disabilità grave e resta in ospedale per settimane, tu hai bisogno di vedere i tuoi genitori e di stare con la tua famiglia. E invece devi restare fuori, perché in ospedale i bambini non possono entrare. Sarebbe bello se dall’ospedale partisse il messaggio: fratelli e sorelle c’è spazio anche per voi.

La rete è fondamentale, basta che non diventi un altro ghetto. La forza del Progetto Rare Sibling di OMaR è che, essendo trasversale a diverse patologie, può contare su una platea più ampia di ragazze e ragazzi. In questo modo i partecipanti hanno potuto conoscere situazioni e realtà diverse dalla propria. I nostri sibling hanno avuto la possibilità di confrontarsi liberamente con coetanei provenienti da altre città e i cui fratelli e sorelle avevano altre malattie. È importante capire che quel problema non ce l’hai solo tu e che riguarda la società più che il singolo individuo. In questo modo è più facile comprendere che la disabilità va affrontata come questione sociale e non come problema individuale. In una società più propensa ad accettare la diversità, anche i sibling si sentirebbero più accettati.


Fonte dell’articolo: https://www.raresibling.it