Associazione Famiglie LGS Italia: un supporto concreto per chi è colpito dalla sindrome di Lennox Gastaut

La famiglia che viene colpita dalla sindrome di Lennox Gastaut (LGS) può avere una certezza: non sarà mai sola e potrà contare sull’aiuto concreto dell’Associazione Famiglie LGS Italia. Un supporto prezioso offerto da persone che hanno condiviso lo stesso percorso di dolore, speranze, frustrazioni ma anche amore, dedizione e determinazione. I membri hanno infatti in comune una missione: migliorare la vita dei pazienti affetti da LGS, una rara e grave forma di encefalopatia epilettica farmaco resistente a cui si associa un rallentamento dello sviluppo cognitivo e disturbi della personalità. Un impegno continuo, un dolore che colpisce profondamente le famiglie, ma che non deve tramutarsi in solitudine e isolamento, né nella distruzione dell’unità familiare.

“Il supporto dell’Associazione Famiglie LGS Italia dovrebbe essere richiesto già al momento della comunicazione della diagnosi, che non di rado è tardiva, e arriva dopo mesi o anni dai primi sintomi, su una famiglia già provata” spiega la presidente Katia Santoro. L’Associazione da subito si adopera per informarla correttamente e per guidarla e supportarla nei passi da intraprendere.

“Va sottolineato” continua Santoro “che, una volta ottenuta una diagnosi, molti genitori credono che esista una cura, fatto purtroppo ancora non vero, o che la sola riduzione del numero delle crisi sia efficace, ma questo vale solo nel remoto caso in cui questa avvenga in un tempo ragionevole. Quando un bimbo subisce molteplici crisi al giorno per mesi, va incontro a danni celebrali purtroppo irreversibili. Focalizzarsi solo su un trattamento che miri a contenere le crisi fa perdere quella breve finestra di tempo nella quale è possibile ridurre il declino cognitivo con strade alternative. La LGS va trattata come una encefalopatia e non solo come un’epilessia. Vanno gestiti anche altri aspetti, oltre alle crisi, come quelli comportamentali. Anche focalizzarsi sull’indagine genetica non porta aiuto concreto, per ora, perché non è noto un gene di riferimento per la LGS”.

Le molteplici attività dell’Associazione Famiglie LGS Italia
L’Associazione Famiglie LGS Italia è attiva su numerosi fronti. Offre sostegno e informazioni corrette grazie alla presenza di un sito web e una brochure dedicata, così come rispondendo a telefonate e videochiamate, o interagendo su un gruppo Facebook chiuso. Inoltre, crea una rete di contatti affinché le famiglie coinvolte possano confrontarsi e condividere le reciproche esperienze nell’affrontare questa patologia. A queste attività di base si aggiungono anche progetti ad hoc.

“Per esempio, abbiamo organizzato una campagna che si chiama “Abbatti il pregiudizio”, nella quale, con il supporto di una squadra sportiva, abbiamo parlato di LGS” spiega Santoro. “Stiamo anche lavorando a un braccialetto USB, da distribuire ai soci, che fornirà un supporto digitale con le informazioni sul paziente: conterrà una panoramica della patologia, i contatti del medico curante, i dettagli della terapia in atto e così via. Potrebbe quindi fornire i ragguagli necessari al personale medico per poter intervenire, in caso di emergenza, anche senza la presenza dei genitori.

L’associazione si occupa anche direttamente degli aspetti sociali, per esempio contatta le scuole quando si verificano difficoltà nell’accettare o nel gestire i piccoli pazienti. Proprio i temi sociali saranno al centro del dibattito al prossimo convegno dell’associazione.

Collaboriamo ovviamente nella gestione pratica della malattia: per esempio durante il lockdown siamo intervenuti quando si sono verificate difficoltà nel reperire i farmaci”.
Inoltre, l’Associazione si occupa di raccogliere fondi per stimolare e finanziare la ricerca scientifica, e si adopera per stimolare e diffondere la conoscenza della LGS e delle problematiche connesse al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica, le Autorità politiche, sanitarie e socio-assistenziali, i medici e i ricercatori.

“Come genitori che conoscono la malattia” continua Santoro “chiediamo ai medici di non focalizzarsi esclusivamente sulla riduzione delle crisi: siamo disposti a sopportare qualche episodio in più pur di avere la possibilità di interagire maggiormente con i nostri figli. Stiamo inoltre lavorando, insieme all’Istituto Superiore di Sanità, a un registro di patologia che permetterà di tracciare un quadro più preciso della malattia in modo da rimodulare i percorsi terapeutici in risposta a bisogni reali. Si sta pensando anche di organizzare una banca dati genetica, per conoscere meglio questo aspetto della LGS. Le lacune burocratiche e organizzative del SSN sono, infatti, anche dovute alle poche informazioni sulla patologia.

Stiamo tentando di coinvolgere tutte le figure che hanno a che fare con la gestione dei ragazzi con LGS: dunque non solo gli epilettologi ma anche i vari specialisti, perché è importante avere a disposizione un team multidisciplinare che si coordini e dia indicazioni chiare e univoche”.

LGS ai tempi del Covid-19
La pandemia di Covid-19 ha reso ancora più complessa la vita dei malati di LGS e dei loro cari. Il lockdown, in particolare, è stato utile ma ha ovviamente avuto dei risvolti negativi.
“Da una ricerca su oltre 500 malati neurologici gravi con encefalopatie di vario tipo è emerso che il lockdown è stato protettivo sulla possibilità di contrarre una malattia infettiva virale che, in pazienti già compromessi, può rappresentare un rischio importante” spiega Pierangelo Veggiotti, Direttore della Neurologia pediatrica, all’Ospedale dei bambini Vittore Buzzi di Milano. “Purtroppo, in mancanza di tamponi e analisi sierologiche, non si dispongono dei dati sul Covid-19.

Il 50% dei pazienti ha avuto la possibilità di avere accesso alla telemedicina e il 47% a una tele-riabilitazione, tuttavia il 90% non ha avuto accesso alle cure dirette, quindi non ha fatto i controlli, le visite, le riabilitazioni necessarie. Ciononostante, solo l’11% si è aggravato in questo periodo: ha avuto maggiori problemi, più crisi, e così via.
Quindi il lockdown non ha peggiorato, in genere, la qualità di vita del malato nel breve termine, perché da un lato la telemedicina ha funzionato, dall’altro, e soprattutto, i familiari hanno fatto uno sforzo incredibile. Sono diventati fisioterapisti, logopedisti, infermieri, tutto quello che necessitava il loro caro ammalato”.

“A peggiorare significativamente è stata la qualità di vita delle famiglie, è cresciuto il loro isolamento e il loro impegno” commenta Katia Santoro. “I familiari hanno dovuto gestire contemporaneamente le molteplici necessità dei ragazzi e il lavoro a domicilio. Inoltre, va sottolineato che solo alcune Regioni virtuose hanno mandato i sanitari a casa per continuare le terapie. Fortunatamente abbiamo potuto contare sulla disponibilità di alcuni specialisti, che hanno assistito, anche psicologicamente, le famiglie via e-mail e telefonicamente. I ragazzi, poi, non potendo andare al centro per la riabilitazione, hanno perso la possibilità di socialità, inoltre le lezioni via internet hanno ulteriormente amplificato la discriminazione. L’incremento delle crisi e dei problemi comportamentali paiono attribuibili anche allo stress”.

Le Istituzioni devono essere più presenti in molteplici modi
La pandemia non ha fatto che sottolineare e acuire problemi esistenti. La telemedicina aiuta molto ma non è sufficiente: queste famiglie hanno bisogno di un maggiore supporto medico, sociale ed economico. “Spesso queste persone devono cavarsela da sole su molti aspetti della vita quotidiana” continua Veggiotti. “Anche solo riprendere il lavoro e trovare una sistemazione per i figli quando finiscono i permessi della legge 104 diventa difficile. Il SSN e lo Stato devono essere invece sempre presenti. L’aspetto sociale, sia pensionistico e/o di supporto economico sia educativo (con educatori a domicilio) non devono essere trascurati. Inoltre, dovrebbero essere messi a disposizione un maggior numero strutture di supporto, soprattutto per i casi più avanzati. Questo per poter sostituire e/o supportare i genitori in caso di necessità.

“È importante, inoltre, che vengano riconosciute da un lato la figura del caregiver e dall’altro la severità della disabilità, e che vengano adeguati i servizi e dispositivi” aggiunge Santoro. “Per esempio, la psicomotricità viene elargita fino a circa 8-10 anni. Non sono poi previste attività sportive perché il rischio caduta è elevato. La progressiva diminuzione della forza muscolare compromette l’equilibrio. Il risultato è che un genitore che vuol trasportare un adolescente lo mette sulla sedia a rotelle. La fisioterapia e la ginnastica passiva potrebbero invece migliorare la capacità di movimento dei ragazzi.

Oltre alla logopedia, già prevista, potrebbe aiutare una comunicazione alternativa aumentativa. Sarebbe anche di aiuto una terapia occupazionale, che può insegnare a mangiare, ad abbottonarsi la maglietta o a metterla e toglierla: ci sono piccole autonomie che possono essere stimolate.
Sarebbe poi utile anche avere a disposizione un nutrizionista: l’alimentazione corretta rappresenta infatti un’altra difficoltà comune”.
Inoltre, è necessaria un’assistenza psicologica già a partire dalla diagnosi, che aiuti ad affrontare il percorso che si ha davanti con consapevolezza, e un servizio che fornisca chiare informazioni sulle varie terapie disponibili.

Anche alcuni ausili potrebbero migliorare la qualità di vita di pazienti e familiari, per esempio il cucchiaio utilizzato per il Parkinson, o strumenti che possono rilevare le crisi notturne, visto il rischio di morte improvvisa a seguito di crisi nel sonno.

Anche a livello delle facilitazioni sarebbe possibile un sostegno più adeguato. A un paziente con LGS, per esempio, non è riconosciuto il tagliando per il parcheggio come invalido, a meno che non sia un disabile grave in carrozzella. Questo nonostante l’elevata possibilità di una crisi con caduta in mezzo alla strada.
“Le Istituzioni dovrebbero poi investire di più nella ricerca” sottolinea Veggiotti. È infatti necessario conoscere meglio la patologia e le sue cause, sia per trovare soluzioni terapeutiche appropriate sia per migliorare la qualità di vita dei pazienti e delle loro famiglie.

“La persona con LGS dovrebbe essere considerata nella sua totalità e sarebbe molto importante poter modulare i supporti a seconda delle effettive necessità del singolo paziente” conclude Santoro. “Molte cose si possono fare, soprattutto prima che la moltitudine di crisi danneggi il cervello”.


Fonte: testo scritto su Pharmastar – Link